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Le sfide del lavoro preannunciano un autunno caldo

Sostenibilità ambientale, sostenibilità sociale, sostenibilità economica, so-stenibilità nella giustizia sociale: senza quest’ultima non sarà possibile la pace sociale. Troppa la disoccupazione, troppi i lavoratori che pur lavorando rie-scono a malapena a sopravvive.

Siracusa, 4 ottobre 2021. IL lavoro che manca, che finisce, che stenta, che cambia. E un altro blocco dei licenziamenti sta per finire. Le crisi industriali non aspettano e al-cune stridono più di altre perché non motivate da conti in rosso. L’incertezza coin-volge ormai molti lavoratori in là con l’età spesso nel mirino dei piani di ristruttura-zione delle aziende. Le crisi aziendali si accumulano, il reddito di cittadinanza non basta, le politiche attive stentano, l’agognata pensione si allontana. Il rimbalzo na-zionale del PIL e il risveglio dell’economia a trazione prevalentemente Settentriona-le, lasciano il Meridione d’Italia, la Sicilia e Siracusa in uno stato di emarginazione politica che è innanzitutto socio-economica e culturale e che segna inequivocabil-mente una stagnazione occupazionale peraltro di bassa qualità. E la crisi del lavoro è il primo di questi effetti, capace con la sua violenza di far saltare per aria le griglie corporative e le organizzazioni di interessi particolari.

Le cifre raccolte da Bankitalia pochi giorni fa, applicate col sistema compara-tivo alla provincia di Siracusa, rivelano le dimensioni del fenomeno che ognu-no di noi sperimenta nella quotidianità:
il totale netto delle attivazioni di rapporti di lavoro relative al periodo gen-naio/agosto 2021 ( per attivazione netta si intende il saldo fra attivazioni e cessa-zioni di rapporto di lavoro) è di 5444 in totale fra tempi indeterminati e tempi de-terminati. Di questi ben 4893, pari al 90% sono a tempo determinato ( inclusi quelli per sostituzione e per apprendistato) e fra questi il 44.2% è sotto i 30 giorni di contratto e solo 551, pari al 10%, sono a tempo indeterminato ( comprese le posi-zioni di lavoro a tempo indeterminato part time e con orario ridotto). Segno inequi-vocabile che i contratti non si trasformano, non ci sono passaggi verso la stabilità e aumentano gli scoraggiati, quanti cioè non credono di trovare nuova collocazione e smettono finanche di cercarla. In una parola si tratta di lavoro povero, quando in-vece quantità e qualità del lavoro sono gli elementi fondamentali che devono guida-re le scelte e l’utilizzo dei finanziamenti europei. Se poi osserviamo più nello speci-fico le nuove attivazioni lavorative relative al 2021 ( gennaio-Agosto) in pro-vincia di Siracusa, il numero di posizioni di lavoro alle dipendenze nel settore turistico in senso stretto è di 3266, pari al 60% del totale, 540 pari al 10% quelle per altri servizi connessi al turismo, 486 pari al 9% per arte, cultura, sport, tempo libero, 215 pari al 4% per industria in senso stretto, 546 pari al 10% per il settore delle costruzioni e 380 pari 7% per il settore commercio.
La rapidità e la radicalità di quanto sta accedendo rischia di segnare una timi-da ripresa senza occupazione che persiste negli stessi errori del passato ed alimenta le stesse diseguaglianze. E’ come se il concetto di Storia come accumu-lazione di progresso da noi si sia fermato insinuando la rassegnazione comune che le nuove generazioni vivranno inesorabilmente peggio di quelle dei loro genitori e dei loro nonni. La disoccupazione giovanile e femminile da noi raddoppia e addirit-tura triplica la media ed è ormai normale che i figli non lascino la casa di famiglia fino a oltre i trent’anni, date le difficoltà che hanno nel comprare o affittare una ca-sa.
Siamo, in definitiva, di fronte ad una timida ripresa al Nord senza alcuna oc-cupazione al Sud e se non c’è un Sud che avanza anche il Nord rischia la parali-si. Forse è il tempo di sospendere la dialettica politica, di non lasciarci risucchiare da un gorgo di parole, da un vortice privo di azioni concrete nel quale nessuno sem-bra assumersi la responsabilità della crisi. La rappresentanza dei cittadini non può dipendere dalla sola collocazione politica di un territorio o di una depu-tazione regionale o nazionale. Diciamo sempre che bisogna ascoltare il terri-torio ma non lo fa nessuno. C’è una grande distanza fra chi lavora sul territo-rio e chi decide da Palermo e da Roma. Sul territorio domina lo sfruttamento del lavoro, la precarietà del lavoro, l’insicurezza del lavoro. Si è passati dalla tutela del lavoro al disprezzo del lavoro. Salari bassi, tagli agli investimenti in ricerca e innovazione, scarsa formazione, produttività ferma. E ancora, rile-gittimazione dell’intermediazione di manodopera, un tempo vietata, legitti-mazione della catena infinita degli appalti con la logica del massimo ribasso, per garantire i guadagni delle aziende ma non i diritti e la dignità di chi lavora.
Abbiamo bisogno di nuovi investimenti collettivi ingenti e nuove tutele sociali e oc-cupazionali soprattutto per affinare le armi e combattere definitivamente l’avanzare della precarietà del lavoro e nel lavoro.
Non c’è più alcun alibi per giustificare le diseguaglianze. Il nostro sistema politico e istituzionale territoriale da solo non riesce più a garantire il percorso, i tempi e la portata di scelte e di interventi indispensabili per riavviare con fi-ducia un nuovo percorso sociale; bisogna, dunque, cercare forze di sostegno e di propulsione nel sociale, anche per organizzarlo e non lasciarlo in balia di spinte di estremismo populista e di ribellione antisistema interessate soltanto ad incassare l’incandescenza della rabbia e del risentimento per scagliarla contro il sistema, tra-sformandola immediatamente in antipolitica. Per la prima volta nella lunga sto-ria della nostra comunità si scopre che il lavoro, reso sterile dalla crisi, nella sua frantumazione e precarietà spinta, sembra incapace di creare diritti de-terminando disuguaglianze, esclusioni e naufragi. La negoziazione sociale è og-gi, nella nostra comunità, fortemente asimmetrica, squilibrata da una profonda di-seguaglianze fra le parti che allenta pericolosamente la coesione sociale e morale e il riconoscimento reciproco fra le parti. Ben al di là del confronto tra il lavoro e l’impresa. Perché se davvero nulla sarà più come prima è arrivato il momento di riformulare la tavola dei diritti e dei doveri, delle protezioni, delle opportu-nità di crescita, delle nuove uguaglianze. Solo così potremo parlare della so-stenibilità nella pace.

Il Segr. Gen. CGIL Sr
Roberto ALOSI

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