Siracusa, 29 gennaio 2022. Provo a dirlo senza acrimonia ma con serena durezza: la transizione energetica non può essere beffata e non esistono scorciatoie per aggirarla. C’è un tempo per ogni cosa e il tempo degli idrocarburi sembra avviato definitivamente al tramonto. Se non si decarbonizza si chiude, non c’è alcun dubbio su questo. O puntiamo ad un nuovo modello di sviluppo industriale oppure continuiamo a commettere gli stessi errori e ad alimentare le stesse diseguaglianze. Attenzione, però, c’è molta esibizione di virtù ambientali millantate. A volte, per poter acquisire visibilità bisogna mostrare ecologia anche quando è indimostrabile. Il problema, allora, è come procedere: vanno evitati estremismi ideologici che guardano il dito e non la luna e serve neutralità tecnologica al servizio della faticosa prudenza e della forza inesauribile della mediazione, unica fonte di avanzamento sociale e industriale. In una parola, occorre essere radicali nei principi ma graduali nell’applicazione. La creazione di un ecosistema favorevole all’innovazione richiede più Stato e più Politica anche nell’economia industriale, altrimenti l’interesse sarà sempre solo di una parte, quella delle multinazionali e del mercato. Per questo servono progetti industriali in sintonia con la responsabilità sociale degli stessi accompagnati da sostegni pubblici. Progetti e non un gorgo di parole che rischiano di risucchiarci in un vortice privo di azioni concrete. Ora che la questione ambientale comincia a mordere in profondità la nostra realtà territoriale, ancora immobile sul piano delle bonifiche e del risanamento, è il tempo della cooperazione, dell’unione di intenti e di serrare le fila. Prima che, ancora una volta, sia troppo tardi. Alla debolezza ormai conclamata della rappresentanza politica occorre opporre la fermezza del territorio in tutte le sue articolazioni istituzionali, sociali e imprenditoriali. Siamo dentro un contesto industriale ampiamente infrastrutturato che coinvolge attualmente oltre 10.000 lavoratori e che è profondamente interessato dai processi di cambiamento in atto che impattano frontalmente con l’attuale modello del nostro Polo Petrolchimico. Lo spettro della deindustrializzazione, brandito ad ogni piè sospinto anche in maniera non sempre limpida e disinteressata, gli allarmi lanciati sulla tenuta occupazionale non aiutano certo a vincere la difficile scommessa. Né serve da parte di qualche esponente locale della politica immaginare di dettare i compiti al sindacato, dimostrando, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la fragilità della rappresentanza politica del nostro territorio e l’assoluta inessenzialità della stessa nell’incidere sui processi decisionali che sono in capo ai governi Regionali e Nazionali. Ma su un punto occorre essere chiari: il sindacato ha sposato fino in fondo l’obiettivo della necessità della transizione energetica e digitale, consapevole della durezza dell’impatto della scelta su un polo petrolchimico come il nostro e con grande senso di responsabilità si batte in tutte le sedi territoriali, regionali e nazionali per una giusta transizione che ponga in cima alla propria agenda la dovuta attenzione per la tenuta occupazionale insieme al graduale e progressivo avvicinamento al traguardo della sostenibilità ambientale e sociale. Altri dovrebbero svolgere con altrettanta fermezza, autorevolezza ed autonomia il proprio ruolo nell’interesse generale in termini di sviluppo, crescita, occupazione e futuro dell’intero nostro territorio. Il tema, allora, non è l’assenza di risorse bensì la scelta politica su come affrontare il cambiamento. Lo deve fare con intelligenza la politica e lo devono fare le aziende svelando con chiarezza e senza infingimenti quali sono i progetti industriali che intendono mettere in campo per accompagnare i processi di cambiamento fino al raggiungimento dell’obiettivo dell’abbattimento del 50% delle emissioni inquinanti già fissato per 2030 e della neutralità carbonica nel 2050. Sotto questo aspetto serve un atto di coraggio e di chiarezza da parte delle aziende che ponga fine alla narrazione collettiva che sempre più alimenta il sospetto che le stesse spingano per drenare risorse pubbliche al fine di sopravvivere fino alla vigilia del 2030 per poi tagliare la corda e desertificare il territorio. Se sgombriamo finalmente il campo da infingimenti e furbizie, da ricatti occupazionali o da drammatici scenari di delocalizzazione, il Sindacato, in tutte le sue articolazioni provinciali, regionali e nazionali è pronto come sempre a sedersi intorno ad un tavolo insieme alle aziende e sostenere una battaglia comune nella piena consapevolezza di rappresentare un territorio industriale che possiede competenze, servizi, aree attrezzate (a partire da Punta Cugno e Marina di Melilli), risorse umane, storia e vocazione industriale non solo in grado di vincere la sfida della transizione energetica ma anche di trasformarla in una grande opportunità di riconversione e di diversificazione industriale nel pieno rispetto della sostenibilità ambientale, della responsabilità sociale e del rilancio occupazionale per migliaia di lavoratori.
Il Seg. Gen. CGIL
Roberto ALOSI